Il limite è uno dei grandi temi dell’animo umano. Su questo tema si sono confrontati letterati e pensatori di ogni genere, da Leopardi a Kant da Freud ad Aristotele.

Il limite fa parte di noi, c’è chi per sua natura ha bisogno di superare i limiti dentro e fuori di sé e c’è chi, invece, tende a stare sempre nella propria “comfort zone” e a non avvicinarsi neppure ad esso. In ogni caso, prima o poi, tutti facciamo i conti con i nostri “paletti”.

L’uomo non esiste veramente che nella lotta contro i propri limiti.
(Ignazio Silone)

Il concetto di limite, che può assumere una sfumatura negativa, si sposa con quello di confine, che in psicologia ha una sfumatura più positiva. Il primo e più importante confine che abbiamo è la nostra pelle. Nel pensiero psicologico la pelle simboleggia il confine di noi stessi, delimita ciò che siamo noi da ciò che è altro da noi, ci permette di entrare in relazione intima con gli altri, senza perdere noi stessi. Chi è psicologicamente “senza pelle” è senza confine; questo ha permesso a molti artisti di realizzare opere emotivamente molto coinvolgenti, offrendo una prospettiva, uno sguardo sull’individuo e sul mondo, originale e appassionante. Di solito, però, questa condizione mentale viene pagata con un’enorme sofferenza psichica, fino ad arrivare all’assoluta perdita dei confini tra sé e gli altri, tra reale e irreale, nei pressi della follia. All’estremo opposto, un confine troppo rigido diventa facilmente una gabbia che ci imprigiona al suo interno e che ci impedisce il contatto intimo con sé stessi e con gli altri. Dal punto di vista cognitivo, il nostro sistema non riesce ad afferrare il concetto di illimitato; tutto ciò che noi esperiamo ha un confine, una fine, un limite. La maggior parte degli studiosi della psiche è concorde nel dire che esiste anche una quota di noi che non è conoscibile e analizzabile, quindi anche la nostra capacità di introspezione ha un limite, che non coincide necessariamente con il nostro intero essere, poiché esiste una parte che ci sfugge.

Pur percorrendo ogni sua via, tu non potresti mai trovare i confini dell’anima: così profonde sono le sue radici.
(Eraclito)

La nostra collocazione nel continuum tra la vaghezza indefinita del voler abbracciare tutto (ma perdersi nel nulla) e la rigidità ossessiva (mania del dettaglio che impedisce di procedere), definisce il substrato inconscio che determina il nostro atteggiamento nei confronti dei limiti nostri ed altrui.
Durante lo sviluppo emotivo, incontriamo i nostri limiti, quando, in età prescolare, “scopriamo” che non siamo onnipotenti. All’inizio della nostra vita i genitori si spendono per soddisfare tutti i nostri bisogni il più tempestivamente possibile, poi, piano piano, iniziano i rinvii nella soddisfazione dei bisogni (orari per mangiare, dormire ecc.) e i divieti attraverso le regole che nel quotidiano ci impongono. La modalità con cui gestiamo la frustrazione che ne deriva concorre a determinare il nostro atteggiamento nei confronti dei nostri limiti. Se abbiamo avuto genitori in grado di porre limiti né troppo stretti né troppo ampi e siamo stati capaci di integrare positivamente la frustrazione, saremo in grado di discriminare quando è il caso di provare a forzare la mano e quando, invece, di accettare come siamo fatti. Ovviamente sempre all’interno di una variabilità personale che, per alcuni, tenderà alla sfida e per altri al confort. In altri termini, potremmo dire che crediamo nelle nostre risorse abbastanza da buttare il cuore oltre l’ostacolo, e non andare in pezzi quando l’ostacolo è decisamente insormontabile.

Per essere sereni, bisogna conoscere i confini delle nostre possibilità, e amarci come siamo.
(Romano Battaglia)

In caso contrario, quando le cose non vanno come dovrebbero, ci possiamo trovare con una stima di noi particolarmente deficitaria, o apparentemente ipertrofica.
Nel primo caso ci troveremo di fronte a un circolo vizioso che si autoalimenta. Potremmo, infatti, non tentare mai di affrontare i nostri limiti, alimentando sempre più l’idea preconcetta di essere persone non capaci, o meno capaci degli altri. Potremmo, altresì, tentare di approcciarci alle sfide con noi stessi facendoci inconsapevolmente lo sgambetto, confermando comunque l’idea che abbiamo di noi, ma in modo più subdolo e difficile da individuare autonomamente.
Nel secondo caso, la stima di sé è solo apparentemente ipertrofica; in realtà cela una fragilità che può essere addirittura più profonda e pericolosa che nel primo caso. Chi di noi appartiene a questa categoria di persone, ha bisogno di non accettare i propri limiti, perché riconoscerli vorrebbe dire contattare un’insicurezza che è insostenibile. Affrontare ogni sfida con noi stessi o con il mondo chiedendoci il massimo e anche di più, ci espone, però, a rischi molto alti che si possono concretizzare in problemi di ansia, quando la pressione è davvero troppa, o di depressione, anche grave, quando ci scontriamo con un limite insormontabile o un fallimento.

Ognuno prende i limiti del suo campo visivo per i confini del mondo.
(Arthur Schopenhauer)

Quando il limite si palesa, facciamo esperienza anche del senso di impotenza, che per alcuni di noi è intollerabile, soprattutto per quelli che hanno attraversato con difficoltà il passaggio da quella fase di onnipotenza percepita, ad una più realistica, ma dolorosa, consapevolezza che esistono cose che sfuggono completamente al nostro controllo e sulle quali non possiamo fare nulla. Spesso, chi di noi ha questa difficoltà, nelle situazioni frustranti inizia a riempire la propria vita di attività, non importa quali, l’importante è non avvertire il senso d’impotenza. Alle volte ciò può rivelarsi un meccanismo di difesa assolutamente adattivo, e nel continuo tentare strade alternative, effettivamente qualche cosa otteniamo… e nella peggiore delle ipotesi manteniamo l’integrità psichica, che è già una gran cosa! Altre volte, però, nella foga del fare a tutti i costi perdiamo di vista la situazione nel suo complesso e rischiamo di inanellare una serie di azioni controproducenti che possono solo peggiorare la condizione che stiamo vivendo.
Ogni giorno, noi e i nostri limiti, ci incontriamo (e alle volte scontriamo), con gli altri ed i loro limiti. Una delle richieste più comuni che gli psicoterapeuti ricevono, è quella di aiutare la persona a “far capire” ad un altro qualche cosa di “importante”; in parole povere chiedono di aiutarli a cambiare l’altro perché possa rispondere meglio ai propri bisogni in modo da smettere di soffrire all’interno della relazione… La risposta, in questi casi, è sempre la stessa: nessuno ha la possibilità di cambiare un altro. Questo è un limite insormontabile. Ed è anche uno dei limiti più difficili e dolorosi da affrontare. Nessuno cambia “per amore” di qualcun altro. Noi siamo disposti al cambiamento, e anche ad affrontare i nostri limiti, solo quando ciò che siamo ci espone a dolori più grandi di quelli da cui ci protegge. Essere disposti ad accogliere l’altro per quello che è o a cambiare strada, significa affrontare il fatto che l’amore che gli altri hanno per noi non è illimitato, ma non per questo non è prezioso. Significa inoltre fare i conti con il nostro narcisismo: se l’altro non ci ama, non c’è nulla che possiamo fare o dire per fargli cambiare idea ma questo non significa che noi non siamo amabili. Significa, quindi, saper investire dove davvero c’è materiale prezioso, tranquilli di non dover ricorrere a sotterfugi o a dietrologie perché andiamo bene così come siamo, con pregi e difetti.

Tutta la nostra vita non è che un avvicinarsi ai limiti estremi della vita stessa.
(Thomas Bernhard)

In conclusione, il concetto di limite ci pone di fronte ad una riflessione profonda su noi stessi, costringendoci a una ricerca interiore su chi siamo, cosa potremmo essere e cosa non potremo mai essere. Scoprire i propri limiti, accettare ciò che non possiamo cambiare, ed evolvere dove abbiamo un margine di manovra, fa parte della crescita individuale, che dovrebbe accompagnare quella anagrafica. Purtroppo non è sempre così… ma dobbiamo sforzarci di fare in modo che accada.

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